(10.6.2020) Chi segue RiavviaItalia ormai lo sa: queste news non hanno un carattere giornalistico ma ricombinatorio di informazioni e pensieri che ci attraggono. Il web è una straordinaria opportunità da interpretare in questo modo, citiamo e linkiamo le fonti. Lo facciamo perché pensiamo sia utile per tutti (a partire dalle fonti) nel far circolare le buone idee, meglio se ben formalizzate come in questo intervento di Vera Gheno (sociolinguista impegnata per tanto tempo alla Accademia della Crusca) pubblicato su dizionaripiu.zanichelli di cui rilanciamo un estratto. E’ un testo importante, messo a punto per la Giornata Mondiale dell’Ambiente, in cui Vera rileva la matrice di alcune parole chiave. E’ una sua peculiarità, ci piace, a tal punto che cogliamo questa opportunità per segnalare un suo libro appena uscito per Longanesi: “Le parole contro la paura”. Tratta del decifit che dobbiamo superare per trovare la tensione ideale per i riavvio del Paese. Questo è l’incipit: “Quali parole scegliereste per descrivere il tempo sospeso dell’isolamento che stiamo vivendo, e perché?”
Si è parlato molto, negli ultimi mesi, della biodiversità (1990), ossia dell’“insieme dei differenti patrimoni genetici presenti in un ecosistema, responsabile della varietà degli organismi viventi e quindi dell’integrità del sistema stesso”. Al diminuire della biodiversità, cioè della varietà di organismi viventi presenti in un sistema, si va a compromettere l’equilibrio dell’intero sistema. Questo avviene, per esempio, con la distruzione degli habitat naturali (dal latino habitāre ‘abitare’, 1782), che costringe molte specie di animali selvatici ad avvicinarsi ai luoghi abitati dall’uomo, con conseguenze talvolta catastrofiche. Si ipotizza che possa essere accaduto proprio questo anche per il “nostro” coronavirus, probabilmente trasportato dai pipistrelli, i cui habitat originari sono stati disturbati dall’essere umano così da spingerli in ambienti antropizzàti (dal greco dal ánthrōpos ‘uomo’, 1975), ossia ricchi di presenza umana. La “convivenza” avrebbe facilitato lo spillover, letteralmente la tracimazióne, cioè il salto di specie, con il passaggio del virus dagli animali agli esseri umani. La pandemia sarebbe dunque stata causata da una zoonòsi (composto di zoo- e del greco nósos ‘malattia’, 1865), cioè una malattia passata dagli animali agli umani. Come scrive David Quammen a pagina 45 del suo libro del 2012, Spillover, quasi preconizzatore di quanto è successo in questi mesi, «Là dove si abbattono alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi a esser diventati molesti, visibili e assai abbondanti».
Questa volta, la zoonosi ha dato origine a una vera e propria catàstrofe: prima di tutto sanitaria, ma anche economica, su scala globale. La parola, che nell’uso comune vuol dire “sciagura gravissima, evento disastroso”, è datata 1543, viene dal latino tardo catăstrophe(m), a sua volta dal greco katastrophḗ ‘rivolgimento, soluzione, catastrofe’, dal verbo katastréphō ‘io rivolto, rovescio’. Dunque, anche se ormai ne abbiamo perso consapevolezza, di per sé la catastrofe è “semplicemente” un rovesciamento, un cambiamento drastico: esattamente quello che molti ritengono necessario per la sopravvivenza della nostra specie, o forse dell’intero pianeta. Una sorta di metaforica grande esplosione, come scriveva Italo Svevo, «che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie».
Senza bisogno di essere così drastici, è pur vero che la pandemia dovrebbe contribuire a farci riflettere. Viviamo nell’antropocène, (2002), ossia un’epoca in cui noi esseri umani abbiamo provocato enormi mutamenti ambientali, secondo la definizione dello scienziato P.J. Crutzen; ed è abbastanza chiaro che ci sia bisogno, da parte nostra, di un profondo rinnovamento di mentalità: o smettiamo di considerare il nostro pianeta come una risorsa infinita oppure, secondo molti, finiremo per esaurirlo completamente, fino a renderlo invivibile. È un po’ questo il messaggio della giovane attivista Greta Thunberg e dei suoi sostenitori, aderenti al movimento FridaysforFuture, definiti ironicamente gretini dai loro antagonisti.
Per scongiurare la crisi climatica, insomma, occorre un grande cambiaménto. E i cambiamenti, si sa, fanno paura, dato che noi esseri umani siamo tendenzialmente abitudinari. Eppure, il cambiamento è tutto sommato una forza positiva: ci ricorda Charles Darwin che l’evoluzione stessa è frutto di cambiamenti. Ma quanto questo concetto sia ambiguo ce lo ricorda anche il filosofo Luciano Canfora nella Definizione d’Autore che ha scritto per lo Zingarelli:
Cambiamento è il fenomeno più importante della storia umana (costume, politica, valori, istituzioni ecc.) e della storia naturale (ambiente, clima, estinzioni di stirpi animali ecc.). A torto il termine viene adoperato come sinonimo di “progresso”, forse per effetto di alcune filosofie ottimistiche smentite in modo fattuale dai disastri verificatisi, nella condizione umana e nel dissesto ambientale, al passaggio dal XX al XXI secolo. Ad ogni modo capire e, se possibile, intuire il cambiamento è – per tenersi all’ambito umano – il requisito dei grandi politici. Ma il discrimine tra questa dote e la spinta all’opportunismo è piuttosto sottile.
(continua)
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