Dalla pandemia alla transizione. Proposta per un Green New Deal esteso

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Ecco una proposta di Daniele Conversi, professore a Ikerbasque Foundation for Science e al Departamento de Historia Contemporánea Universidad del País Vasco /University of the Basque Country che pubblichiamo volentieri.

Sebbene nessuno sappia dirci quando la fase critica della pandemia finirà, c’è da domandarci: non appena le attività economiche riprenderanno, sarà auspicabile tornare allo status quo ante? Molte attività saranno nel frattempo scomparse, altre saranno drasticamente ridimensionate, alcuni settori subiranno un tracollo storico, altri prolifereranno.

Non saranno solo le nuove tecnologie e la robotica a trionfare, e nemmeno coloro che hanno speculato in borsa sull’ottovolante degli imprevedibili alti e bassi del bipolarismo Trumpiano. Esistono anche settori e micro-settori emergenti, o che emergeranno, alcuni nuovi, altri antichi come la terra che ci sostiene. L’agricoltura a km zero ha oggi più che mai ragione di esistere, come sostiene qui, sulla piattaforma RiavviaItalia, Franco Paolinelli. Sebbene i supermercati continuino a trionfare a discapito degli alimentari e di altri piccoli negozi, la riduzione dei trasporti non essenziali ha innescato la necessità di riconsiderare seriamente l’apporto delle agricoltura locale non intensiva per l approvvigionamento quotidiano. In controtendenza, paesi che dipendono largamente dalle importazioni, come gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari paesi nordici, si trovano oggi a considerare il prospetto di carestie poiché la mancanza di trasporto aereo e la carenza di camionisti sta interrompendo le consegne di alimenti freschi, mentre l’assenza di manodopera influenza la semina e la raccolta.

Alla base dei cambiamenti in corso ci saranno la capacità di resilienza dimostrata da alcune nicchie lavorative, la creatività imprenditoriale di coloro che hanno saputo tenersi a galla e, soprattutto, la distillazione di dati scientifici, la capacità di esplorare nuove prospettive e scoprire nessi e causalità collegando fenomeni disparati, ecc. In altre parole, sono in questo momento altamente richieste riflessioni corroborate da ricerche e proposte corredate di dati seri e affidabili. Tale produttività e produzione di conoscenza rimarrà il fulcro intorno al quale si potranno muovere politiche innovative a tutti i livelli.

Propongo qui di connettere quanto verrà discusso con quanto è già stato discusso – e si stava discutendo fino al giorno prima della crisi pandemica. Le manifestazioni per il clima dello scorso settembre già contenevano programmi di rinascita nazionale e internazionale ispirate all’abbandono dei combustibili fossili e all’enfasi sulle energie rinnovabili, dalla crescita zero al cambiamento di stili di vita.

Nel mese di settembre 2019, sei milioni di persone , in gran parte studenti, manifestavano simultaneamente in tutto il mondo per premere i governi ad attuare con la massima urgenza sul cambiamento climatico in corso. Una momentanea “decrescita” è di fatto già avvenuta in modo drammatico e totalmente imprevisto dai suoi stessi teorici (Serge Latouche, Paolo Cacciari, Joan Martinez Alier, ecc.) e dai progetti per una steady-state economy (stadio stazionario). Al di la’ di tale ‘decrescita’, ciò che va radicalmente rimesso in discussione è il modello di globalizzazione fondato sull’alta mobilità delle elites, le massicce importazioni di prodotti sottocosto e, soprattutto, il modello economico basato sul consumismo di massa .

Quanto avvenuto ora è proprio ciò che le elites economiche più paventavano, con le loro timide scelte per una transizione lenta che non avrebbe voluto intaccare i loro profitti e creare traumi per l’economia globale. La transizione irrealisticamente lenta e letargica voluta dalla Confindustria e dai corrispettivi gruppi di pressione a livello globale sarebbe stata tragicamente tardiva, fintanto inutile, per affrontare l’abbandono rapido dei combustibili fossili urgentemente richiesto da milioni di persone. Solo pochi mesi fa migliaia di scienziati di tutto il mondo  (tra cui Conversi, ndr) avevano pubblicato un appello, un monito, quasi un avvertimento finale. Secondo gli scienziati, l’emergenza climatica era, e rimane, improrogabile.  Non bisogna dimenticare che, anche qualora il cambio climatico si possa ipoteticamente frenare oggi, le sue conseguenze a lungo termine saranno immensamente più stravolgenti per le nuove generazioni di una semplice pandemia — che finora si è limitata a lanciare un segnale di avvertimento a uno stile di vita non più perseguibile.

Nelle manifestazioni settembrine queste proposte e tendenze erano già visibili, sebbene anarchicamente e disordinatamente esposte. Naomi Klein aveva appena pubblicato le sue riflessioni, On Fire: The (Burning) Case for a Green New Deal. Ora le condizioni oggettive sono radicalmente cambiate.

Dopo il periodo di confinamento si verificherà probabilmente una strenua lotta tra coloro che esigeranno cambiamenti sostanziali nello stile di vita e coloro che cercheranno di riproporre lo status quo ante (vedasi il massiccio finanziamento di Trump all’industria aeronautica, e le migliaia di sterline regalate dal governo inglese a EasyJet). Ma c’è anche una via di mezzo: esiste una correlazione empiricamente verificabile tra inquinamento ambientale ed esplosione del virus, da riscontrarsi dei parallelismi, per esempio, della situazione ambientale in Lombardia, come a Wuhan. Una volta accertata, verificata, compresa e teorizzata questa correlazione, potremmo auspicarci un’ondata di finanziamenti statali e non statali per la riconversione industriale. I tempi per agire sono comunque estremamente ristretti. Innanzitutto, ciò richiede ulteriori approfondite ricerche, di stampo sia empirico che teorico, ma soprattutto di carattere divulgativo. Infatti, bisogna considerare che le stesse politiche economiche e sociali si basano su informazioni discusse previamente da esperti. Da tali ricerche e discussioni potrebbe emergere la necessità di elargire fondi per strategie di risanamento dell’ambiente, per la revisione industriale e per gli adeguamenti ambientali.

Sull’onda dell’esperienza precedente del confinamento, e dei sacrifici che ciò ha comportato, e’ possibile un piano Marshall di ampie dimensioni, un piano che dal punto di vista sociale, politico ed economico molti già vedono come inevitabile. Sebbene mi riferisca qui a vari livelli, globale, nazionale e locale, lo Stato giocherà un ruolo centrale. Una volta che i governi nazionali si siano assunti le responsabilità ambientali che gli spettano, lo Stato potrà mettere in atto piani di riconversione, in aeree che da tempo richiedono una radicale rigenerazione, quali i trasporti urbani a Roma o le varie zone industriali abbandonate che costellano e punteggiano la penisola. Ciò potrebbe applicarsi incluso ad aree ex-siderurgiche come Taranto, in cui sono richiesti cambiamenti radicali almeno da quando nel 2005 il Comune di Taranto dichiarò il dissesto finanziario. Ma i cambiamenti richiesti vanno ben al di là di una semplice riconversione: Essendo chiaro che un confinamento di pochi mesi non sconfiggerà il virus, bisognerà mettere in discussione tutta una serie di scelte comportamenti, nozioni, atteggiamenti, certezze che noi assumevamo prima come assolutamente normali e che solo ora possiamo vedere nella loro dannosa vulnerabilità e assurdità.  Come potrebbero dunque reagire i poteri forti? mi riferisco qui non tanto ai politici stessi quanto ai settori industriali più esposti al cambiamento e le loro lobbies. Molti industriali, magari persino la Confindustria, potrebbero gettarsi a pesce verso la pioggia di finanziamenti atti a rivitalizzare varie attività secondo condizioni precise, incluse quelle specificati dal piano europeo per un Green New Deal. E’ dubbio che una parte delle industrie possano opporsi a un Piano di risanamento pagato dallo Stato. Sarà il momento dell’interventismo statale e della spendibilita’, di un Keynes redivivo e rinverdito.

Quali settori potrebbero trarre beneficio da questi cambiamenti?

Come sappiamo, uno dei problemi principali del capitalismo contemporaneo è il divario crescente tra una percentuale irrisoria sotto l’1% che detiene la maggioranza delle ricchezze del pianeta e il resto. Ciò implica nuove politiche per una ridistribuzione dei redditi , ma questo deve necessariamente partire dalle capacità impositiva degli Stati. Quindi, concentrarsi sulla riconversione industriale sarebbe altamente insufficiente e fintanto controproducente. Altri settori avranno bisogno di essere inclusi nei progetti di risanamento e di rinascita.

Gli artigiani sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia: ritenuti attività non essenziali sono stati costretti a sospendere le proprie attività. Considerando anche che i loro introiti venivano generati spesso dal turismo, molti rischiano di andare in rovina trascinando con se una delle parti più artistiche, innovative e creative dell’economia italiana e, generalmente, mediterranea. Per esempio, tutte le attività legate alla Settimana Santa nei paesi cattolici come l’Italia la Spagna, si sono viste profondamente colpite. L’artigianato è una delle componenti essenziali dell’economia e cultura italiana, per salvarlo bisognerà immettere massicce dosi-quantità di denaro. Inoltre, la gran parte delle attività artigianali rimangono perlopiù in equilibrio con l’ambiente e non implicano massicce dosi di inquinamento -come altre industrie di ampio raggio. Queste ed altre attività potranno essere pienamente comprese in un piano di risanamento globale. La cosa peggiore è che, nonostante tali settori abbiano correntemente zero entrate, anche i settori più colpiti saranno costretti ad adempire ai loro obblighi fiscali in assenza di liquidità. Per questi e altri settori, bisognerà stabilire interventi speciali, come il dilazionamento delle imposte e la sospensione degli affitti. Negozi locali, come ferramenta, indispensabili per la vita di quartiere, andrebbero aggiunti. Negozi storici o semplicemente aperti da almeno 20 anni potrebbero essere inclusi nella moratoria.

Concludendo, le premesse per il cambio che verrà si potevano già discernere, almeno in parte, nelle manifestazioni contro il cambio climatico dello scorso settembre. La differenza e’ che ora alcuni dei cambi proposti durante la marcia per il clima appaiono ancora più’ ineludibili. L’economia italiana, come quella di altri paesi, ha bisogno di stimoli senza precedenti, convogliati verso settori pienamente sostenibili e nella ricerca di nuovi equilibri ambientali il cui futuro non contrasta con le sorti del pianeta.

Daniele Conversi

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  • OK!!!!!, Ho letto la scheda. Molto bene, la gran parte delle tracce c’è.
    Ma, se devo dire la mia, non emerge la battaglia di fondo: poco potere globale contro tanto potere locale.
    Alla fragilità dei sistemi dimostrata dall’epidemia si potrà reagire o con un incremento di concentrazione di controllo e potere o con un aumento della resilienza locale.
    Sapete da che parte batte il mio cuore.
    Domanda: La stessa tecnologia digitale, in termini tecnici, può essere strutturata su poche o tante (pochissime o tantissime) centrali di gestione e potere ?
    Ho letto qualcosa di iniziative per avere reti a controllo nazionale contro le reti globali. E’ verosimile ?
    Ovvero, invece, per la sua stessa natura deve essere a controllo globale?
    Tornando all’Italia, la spesa pubblica di ripartenza potrà e dovrà trovare la sua strada tra questi due poli. Lo stesso eventuale green new deal può essere a controllo centralizzato od a sviluppo diffuso.
    Il Fascicolo Fabbricato (riqualificazione dei condomini) fu un’iniziativa necessariamente puntuale, di cui beneficiarono moltissimi professionisti e moltissime imprese, immagino con proporzionali ricadute di indotto e spesa corrente.
    Oggi un’operazione analoga, con spese a carico degli Enti Locali potrebbe ottenere analoghi risultati.
    Analogamente, sempre nell’ottica di stimolare la filiera del verde ed in misura parziale quella dell’edilizia, si potrebbe stimolare il meccanismo delle “adozioni” delle aree verdi pubbliche, già in essere. Gli Enti locali potrebbero fare una call di adozione associata anche al finanziamento di opere di riqualificazione ed alla gestione corrente per un certo periodo.
    Si otterrebbe la diversificazione delle responsabilità di gestione del verde ed un aumento di spesa per le imprese, sia in fase di riqualificazione che di gestione, coinvolgendo anche il terzo settore molto presente nelle adozioni. C’è una vasta casistica di tipologie di adozioni in cui un soggetto del terzo settore si fa carico di gestire beni pubblici, traendone benefici sia per se (i propri soci) che per la collettività. Le modalità di assegnazione di questi beni sono state, a mio avvio, finora, poco trasperenti. Il new green deal potrebbe impegnarsi a farle diventare più chiare.
    Per ora ciao.
    Franco Paolinelli

  • Articolo su Il Fatto Quotidiano del 10-4-2020:
    Coronavirus, lo studio dell’Università di Harvard: “Correlazione tra smog e aumento del tasso di mortalità per Covid 19”.
    La connessione tra letalità e condizioni ambientali sta emergendo.
    Se traessero le conseguenze, dopo aver avuto oltre 15.000 morti, i Padani si dovrebbero veramente spaventare e le autorità dovrebbero arrivare a politiche industriali / ambientali totalmente diverse.
    Con un passetto oltre, invece di resistere, in trincea, gli industriali potrebbero capire che ora è il momento in cui possono scaricare il massimo possibile di costi di interventi di riqualificazione sulla collettività, forse anche sull’Europa, e farsi pure belli.
    D’altronde, il risanamento potrebbe essere una bella spesa diffusa che investe professionisti, ditte di riqualificazione, indotto…. potrebbe arrivare ad interessare perfino la filiera del verde.
    Franco Paolinelli.

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