È l’ora dello switch off digitale nel rapporto con la Pubblica Amministrazione.

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Rilanciamo questo articolo di Michela De Biasio, pubblicato su businessinsider , a proposito dello switch off digitale che ridefinisce tutto ciò che intercorre tra noi tutti e la Pubblica Amministrazione. Non è roba da poco, è un momento di reset (di vecchie profilazioni), per cui o si è dentro quei nuovi protocolli (come SPID) o si è fuori. E’ un passo significativo per la trasformazione digitale che auspichiamo da tempo. E’ curioso che accada a marzo, dopotutto era (prima dell’avvento del calendario giuliano, nel 46 a.c) proprio in questo mese che iniziava l’anno…

Dal 1° marzo 2021 sono attive le nuove disposizioni previste dal Decreto Semplificazione (DL n. 76/2020) in materia di accesso ai servizi telematici: dismissione progressiva delle singole credenziali che ogni Pa aveva adottato in autonomia, e un’unica chiave per accedere a tutti i servizi pubblici online, a scelta tra il Sistema per l’identità digitale (Spid), la Carta d’identità elettronica (Cie) e la Carta nazionale dei servizi (Cns). Oltre a questo, il decreto prevede che tutte le Pubbliche Amministrazioni nazionali debbano anche integrare la piatt che stabilisceaforma pagoPA nei sistemi di incasso per la riscossione delle proprie entrate, e avviare i progetti di trasformazione digitale necessari per rendere disponibili i propri servizi sull’App IO. Una serie di importanti passi in avanti nel processo di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione Italiana.

SPID, CNS e CIE… cosa sono?
Dopo lo switch off, moltissimi servizi e operazioni della Pubblica amministrazione e dei privati aderenti, sino ad ora possibili solo recandosi direttamente negli uffici di competenza, potranno essere effettuati online.

Lo Spid si basa su credenziali personali che, grazie a delle verifiche di sicurezza, permettono di autenticarsi sui diversi siti aggiornati. Per ottenere lo Spid si deve essere maggiorenni e fornire a uno a scelta dei 9 gestori di identità digitale esistenti un indirizzo e-mail, il numero del cellulare che si usa normalmente, un documento di identità valido e la tessera sanitaria con il codice fiscale.

La Carta Nazionale dei Servizi permette di accedere ai servizi attraverso un dispositivo, che può essere una chiavetta USB o una smart card dotata di microchip
Infine, la nuova Carta di identità elettronica, rilasciata dal proprio Comune di residenza, mediante un PIN consente con i massimi livelli di sicurezza l’identificazione del cittadino ai servizi online degli enti che ne consentono l’utilizzo.

Dal 1° marzo l’Agenzia delle Entrate non rilascerà più nuove credenziali Fisconline, ma gli utenti già registrati potranno comunque continuare a utilizzare le credenziali rilasciate in precedenza fino alla loro naturale scadenza (non oltre il 30 settembre 2021). Dopo di che sarà necessario avere, a scelta, di uno dei tre strumenti citati.

Per i cittadini che già utilizzavano SPID, CIE o CNS per accedere ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate non cambia nulla.

Professionisti e imprese, diversamente, potranno continuare ad utilizzare le vecchie credenziali e anche richiederne di nuove. Considerata infatti la maggiore complessità dei contesti, il passaggio all’uso esclusivo di Spid, Cie e Cns avverrà in una data che sarà stabilita con un apposito decreto attuativo, come previsto dal Codice dell’amministrazione digitale.

Secondo le previsioni dell’Agid (l’Agenzia per l’Italia Digitale), sulla base delle attività che i cittadini hanno incrementato nell’ultimo anno grazie allo Spid, i servizi che verranno maggiormente utilizzati saranno i certificati Inps, quelli del sito dell’Agenzia delle Entrate e le consultazioni del proprio Fascicolo sanitario elettronico.

In vista dello switch off digitale abbiamo parlato di questa trasformazione con Ernesto Belisario, avvocato, esperto di diritto delle tecnologie e innovazione nella Pubblica Amministrazione.

Competenze, risorse, impegno degli enti e del governo, nuove sfide e coinvolgimento della cittadinanza digitale: questi gli elementi del quadro principale che emerge dall’intervista.

Quale lo scenario probabile dal 1° marzo?

Non mi aspetto che il 100% delle Pubbliche Amministrazioni arrivino al 1° marzo integralmente pronte, ma credo che avremo comunque una situazione positiva, in cui la maggior parte delle amministrazioni si saranno adeguate al decreto. Un dato importante lo ricaviamo dall’adesione al bando per il Fondo Innovazione per coprire lo switch off del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, per cui hanno fatto domanda 7.246 Comuni Italiani (il 92%).

Ci saranno sia amministrazioni all’avanguardia, in grado di offrire best practice di esempio, che realtà medie, che non hanno ancora completato integralmente il percorso ma che si stanno impegnando. Infine ci saranno anche amministrazioni con forti ritardi. In molti casi si tratterà probabilmente di enti piccoli, in cui mancano risorse non solo economiche ma anche in termini di competenze tecniche.

Potrebbe poi trovare ulteriore conferma il monitoraggio della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del Piano Triennale per l’Informatica, secondo cui il divario digitale tra enti territoriali non si distribuisce solo secondo fattori dimensionali ma anche geografici. Probabilmente infatti i dati ci diranno che a essere indietro saranno soprattutto realtà del Mezzogiorno e del Centro Italia. Dopo il 28 saremo inoltre in grado di verificare l’effettivo impatto sull’attuazione di questo percorso di trasformazione del Coronavirus e del lockdown.

 

Come avrà influito la diffusione del Covid?

Un aspetto positivo della difficile situazione vissuta da un anno a questa parte è l’accelerazione dovuta al Covid della trasformazione digitale delle Pubbliche Amministrazioni. Un anno fa non eravamo una smart nation, nonostante il processo di trasformazione digitale della PA fosse già avviato da 15 anni con il Codice dell’Amministrazione Digitale.

La diffusione del Covid ha avuto due ricadute principali per quanto riguarda la digitalizzazione dei servizi pubblici. Da un lato c’è stato lo smart working forzato: i dipendenti delle PA si sono trovati a dover lavorare da casa, e questo ha contribuito sia ad aumentare la consapevolezza dell’importanza delle tecnologie anche da parte dei più resistenti al cambiamento, che a far crescere giocoforza le competenze digitali di chi lavora in un’amministrazione.

Questo è stato un passaggio importante, perché ha comportato una riorganizzazione dei processi e del lavoro, un elemento di cambiamento che faticava a passare. Prima si tendeva a pensare a una digitalizzazione del servizio senza una revisione a monte di tutti i processi relativi alla sua realizzazione.

Dall’altro lato poi c’è stato un aumento della consapevolezza dei cittadini stessi dell’importanza della disponibilità dei servizi online. Solo per dare un dato: prima dell’inizio della pandemia il numero di utenti in possesso dello SPID era circa 6 milioni, oggi a supera i 17 milioni. Un terzo della popolazione è quindi ha un’identità digitale.

 

Come influirà il cambio di Governo su questo processo di trasformazione digitale?

Draghi ha anticipato una riforma della PA, e due linee di azione per andare a irrobustire quanto fatto in questi anni: la costruzione e l’uso di piattaforme semplici per i cittadini, e un adeguamento delle competenze interne alla Pubblica Amministrazione, anche attraverso nuove assunzioni di personale tecnico. A mio parere delle nuove assunzioni potranno essere utili, ma andranno accompagnate parallelamente da una strategia di rinforzo delle competenze digitali del personale già impiegato. Una necessità avvalorata anche dai dati dell’Indice DESI dell’Unione Europea, secondo cui il capitale umano e la disponibilità di competenze digitali continuano ad essere un tallone d’Achille in Italia, sia per cittadini che per dipendenti pubblici e privati.

 

Quali prospettive per il futuro?

Lo switch off digitale è una tappa di un percorso di trasformazione digitale, non il traguardo. Le amministrazioni devono fare i conti con delle norme cogenti e da sfide ambiziose da cui non si può tornare indietro. La prima è quella del già citato adeguamento delle competenze del personale. Poi c’è l’interoperabilità dei sistemi, finalizzata alla semplificazione per i cittadini, che dovranno dare i loro dati solo una volta alle amministrazioni, in grado di interagire tra di loro e recuperare informazioni senza doverle richiedere di nuovo. Questa interoperabilità però non può prescindere dai temi della garanzia della sicurezza e della privacy.

L’ultima sfida è poi quella dell’automazione dei processi. Molte attività della pubblica amministrazione vanno ripensate secondo nuovi schemi di automazione, che tengano contro anche dell’uso di algoritmi e intelligenza artificiale, che potrebbero dare un grandissimo supporto in termini di riduzione dei tempi di trattazione delle domande, recupero di risorse, efficienza e riduzione dei fenomeni di tipo corruttivo.

Su tutto questo percorso di trasformazione digitale dovranno poi vigilare i cittadini, chiamati a verificare in prima persona l’effettiva disponibilità e il funzionamento dei servizi. Ricorrendo anche a class action amministrative in caso di non rispetto degli standard di servizio previsti a livello normativo.

(continua)

immagine tratta da qui

 

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