Il Museo Condiviso
È un errore pensare all’architettura come quell’attività legata esclusivamente alla costruzione di edifici, ma è molto di più. L’architettura è essenzialmente creazione e costruzione di spazi come luoghi di dialogo e di relazione.
Con il “MUSEO CONDIVISO” non abbiamo più l’articolazione di un oggetto architettonico, ma un dialogico dispositivo gassoso in grado di generare continue relazioni. Un sistema spaziale aperto, che usa direttamente la struttura urbana, trasformandola nel contenitore e nel sistema distributivo e architettonico di un museo. In tal modo, tutto quello che rientra all’interno del progetto, viene assorbito e trasformato, generando una vera e propria metamorfosi dello spazio, che da spazio esterno diviene l’interno dell’architettura del “Museo Condiviso”. Così le strade, con i suoi elementi urbani e architettonici, diventeranno gli spazi del museo, le pareti dei palazzi, così come i cartelloni pubblicitari, si trasformeranno nei supporti su cui inserire le opere. Se è necessario sarà possibile inserire anche dei elementi espositivi che verranno studiati ed analizzati di volta in volta a seconda delle mostre. Le vetrine dei negozi diventeranno le teche espositive del museo, le panchine le sedute da cui osservare comodamente le opere esposte. Le facciate diventeranno le scenografie interne del museo su cui proiettare varie video installazioni. Le finestre si trasformeranno in schermi analogici attraverso cui osservare le “performance domestiche” della vita degli abitanti, mentre i balconi diventeranno “micro palchi” per pubbliche performance. Gli spazi interni dei negozi, a prescindere dal tipo di attività, saranno invece le “sale” del Museo Condiviso, nelle quali si avrà la possibilità di esporre le opere delle mostre temporanee. In particolare, alcune attività fungeranno da supporto al museo, come per esempio le caffetterie, le librerie, i ristoranti, gli hotel e i B&B che si trasformeranno rispettivamente nei bar del museo, nei suoi bookshop, nei punti di ristoro, nelle residenze d’artista. Il tutto sarà riconoscibile attraverso un’infografica studiata ah hoc, fortemente rappresentativa del MUSEO, che il direttore avrà sempre e comunque modo di cambiare e trasformare a suo piacimento. Per delimitare lo spazio verticale, e per permettere una migliore visione delle opere, verranno installate delle strutture sospese di materiale leggero facili da montare che avranno la funzione di riparare dal sole trasformandosi nel tetto della nostra architettura. Anche l’uso del colore è importante. Tutti i vari elementi presenteranno infatti un richiamo cromatico comune, creando in tal modo un trait d’union dello spazio, un legante spaziale per l’intera area del progetto architettonico che può coinvolgere anche la pavimentazione.
Attraverso questo intervento, composto da materia urbana e sociale, possiamo leggere i valori antropologici e linguistici dello spazio urbano e della comunità che vi risiede. Ritengo quindi fondamentale una progettazione spaziale sia architettonica che antropologica e semiotica, grazie alla preziosa collaborazione dell’antropologo Massimo Canevacci e della semiologa Tiziana Migliore. Con questa operazione architettonica l’edificio museale si dissolve lasciando in primo piano, i veri protagonisti di un museo: le opere. Anche per questo caso specifico dobbiamo distinguere due collezioni: la collezione permanente e quelle temporanea.
La collezione permanente di questo museo è la città stessa con la sua architettura, i suoi abitanti, i suoi negozi, i suoi oggetti. Per tale motivo le attività commerciali diventano parte integrante del museo stesso che continueranno le loro attività dialogando direttamente con le esposizioni temporanee che si alterneranno all’interno di questo museo. Gli oggetti dei negozi acquisteranno in questo caso valore di documento legato ad un contesto storico contemporaneo, dove l’archeologia perde dimensione storica e approda nell’immanente, dando vita ad un’archeologia del “contemporaneo”.
La collezione temporanea avrà invece il compito di dialogare e di creare continue connessioni con lo spazio trasformato. Si può prevedere per esempio la realizzazione di opere create appositamente per questo nuovo tipo di museo, o delle macchine artistiche pensate per creare relazioni interpersonali o ancora opere a misura di bambino, favorendo la dimensione dialogica tra adulti e bambini. Le possibilità sono molteplici. Fondamentale ed indispensabile diventa quindi la figura del suo direttore e curatore che in questo caso sarà legata a Giorgio de Finis, già direttore del Macro, il Museo d’arte contemporanea di Roma, e attualmente direttore del MAAM e del futuro “Museo delle periferie di Tor Bella Monaca”, entrambi a Roma.
Il Museo Condiviso altro non è che un una riconversione dialogica che vede ogni singolo spazio urbano coi suoi interstizi di luci e ombre, riassorbito all’interno di questa operazione di trasformazione di un “nuovo” luogo espositivo per la città. Una rivoluzione semantica, che vede nella bellezza il motore, per un riscatto civile economico e sociale di una intera comunità. Questo “nuovo” luogo ha il vantaggio di essere un vero e proprio strumento di comunicazione del nostro tempo trasformandosi in spazio rappresentativo della nostra realtà quotidiana. Un museo gassoso che entra in ogni interstizio dello spazio urbano.
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sì, questo è l’aspetto determinante: concepire il museo come dispositivo per attivare coscienza pubblica, sollecitando uno sguardo evolutivo. L’arte apre le porte della percezione, lo sappiamo, si faccia in modo di estendere i processi di condivisione di queste percezioni per tradurle in una nuova consapevolezza delle comunità urbane.
@luca-longu, è esattamente questo l’intento del programma del “Museo Condiviso”, ma soprattutto, con questa proposta, si vuole offrire un programma ed un modello che attivi dinamiche spaziali e sociali che porti l’architettura a confrontarsi con le reali esigenze della società contemporanea. Il museo concepito come forma-oggetto, come una grande scatola spaziale, è superato ormai da tempo e sopravvive solo per sue dinamiche “pop” di luogo di consumo culturale. Basti pensare che sono ormai diversi decenni che l’arte ha scelto di abbandonare l’edificio architettonico per confrontarsi faccia a faccia con il mondo, o alle varie operazioni curatoriali e concettuali degli eco-museo o dei musei diffusi. Difronte a tutte queste operazioni ormai consolidate l’architettura ha scelto di ritirarsi all’interno di operazioni segniche e auto referenziali. Credo che l’architettura debba tornare a prendersi le sue responsabilità, abbandonare le sue posizioni di autoreferenzialità e porre al centro l’uomo e le sue dinamiche sociali.
@luca-longu la rilettura che propongo della collezione permanente del museo vuole proprio riattivare coscienza pubblica e soprattutto invitare rileggere il museo come uno spazio aperto, la cui collezione è viva e in continua metamorfosi. Odio l’idea massiva del museo che ci è stata trasmessa in questi ultimi decenni, come luogo di consumo culturale e credo che dobbiamo prendere strade diverse. D’altronde anche l’arte da decenni va contro l’idea istituzionale del museo come contenitore e spazio consumistico, uscendo dai limiti ristretti dell’edificio e contaminando le strade, il paesaggio, la natura. L’arte ormai è gassosa, come dice il filosofo francese Yves Michaud, ed il museo si deve adeguare a questa nuova realtà. Il programma del Museo Condiviso, celebra infondo questa nuova condizione artistica che viviamo con un’Architettura anch’essa Gassosa, un’architettura delle relazioni e non dell’oggetto, un’architettura che attivi coscienza pubblica e non consumo.
Grazie Emmanuele per la condivisione dell’idea! Il Museo Condiviso parla di un aspetto fondamentale della diffusione della cultura per tutti e di tutti. In ogni luogo ed in ogni forma, senza tempo. E’ l’idea che sa costruire la bellezza, che sa attirare l’attenzione, che è capace di smuovere il nostro spazio interiore ed attuare il cambiamento nei luoghi che accompagnano giornalmente la nostra vita.
“Una riconversione dialogica che vede ogni singolo spazio urbano coi suoi interstizi di luci e ombre, riassorbito all’interno di questa operazione di trasformazione”: l’essenza.
Grazie Daniela, un aspetto importante di questo programma è, come dice il nome stesso, è un progetto condiviso. Non è un’istituzione estranea, calata dallalto, ma pone al centro la comunità che diventa parte attiva del progetto, condividendo i suoi spazi, le proprie attività, accogliendo e facendo proprio un nuovo linguaggio poetico ed artistico. Penso che un museo oggi deve superare le barriere mentali e istituzionali e diventare dialogico, per costruire nuove forme di vita e di cultura
Quanto sarebbe importante raccogliere l’insieme di buone pratiche che stanno aprendo l’idea del Museo nel Territorio. Un’esperienza emblematica fu questa condotta a San Giovanni Valdarno sul “Museo Sensibile” nel 2014.
Un gruppo come questo può essere utile per mettere insieme i diversi input, valorizzare le esperienze apripista ed elaborare teorie associate alle buone pratiche.
Credo che insieme possiamo trovare gli strumenti operativi per dar vita ad un museo che sia tecnologico, dialogico, gassoso, sensibile, performativo, resiliente, condiviso, ecologico, ubiquo, aperto, comunicazionale, angelico, interattivo, trasformabile, motivazionale, dinamico, energetico, architettonico, apolitico, immanente, … Compito dell’architetto è abbandonare quel sentimento di autonomia disciplinare e studiare un dispositivo programmatico in grado di rispondere alle esigenze della nostra contemporaneità
@emmanuele-lo-giudice Assolutamente! Autonomia, chiusura, gelosia “disciplinare” che rovinano il nostro ruolo mettendolo in crisi proprio dall’interno. Architetto é proprio colui che, a differenza di altre categorie professionali, ha la capacità creativa e il dovere di unire diverse competenze per creare il nuovo.
Quando l’altro giorno ho letto il tuo testo la mia mente si è attivata. Ed è proprio questo il lavoro: attivare. Mi è tornata alla memoria la Banda, la banda musicale che una volta si sentiva suonare per le strade dei paesi e che oggi si sentono sempre meno, o solo per occasioni particolari. Io ricordo che da piccola, quando passava lá banda, era un catalizzatore, era per tutti, il suono riempiva ogni spazio, amplificato o smorzato a seconda del luogo in cui si trovava… E si poteva percepire questa intima relazione tra luogo e suono che permea e si diffonde nello spazio in modo diverso. Alle volte era più diffuso e potevi identificare le singole categorie di strumenti musicali: quanto poteva “allungarsi” una banda in una via stretta di paese! Per poi farsi concentrato e tornare “una voce sola” nel momento in cui raggiungeva la piazza grande! Una sinergia tra spazio, tempo, suono, individualita e obiettivi comuni. Oserei quasi definirlo un “Concerto in azione nel paesaggio” 😂 (ogni riferimento a fatti o persone é puramente casuale! 😂😉)
@daniela il programma del Museo Condiviso, è un’applicazione e una conseguenza della ricerca dell’Architettura Gassosa che cerca di sviluppare nuovi modelli programmatici per l’architettura contemporanea. Per fare questo serve attivare una ricerca interdisciplinare che apra la strada a nuovi orizonti. Questa ricerca cerca di superare il binomio architettura-oggetto, architettura-scatola e pone al centro la relazione dialogica che esiste tra oggetti e persone, relazione aperta che non necessita in modo determinante di un edificio ma che genera a tutti gli effetti uno spazio architettonico. Credo che quando parliamo di architettura dobbiamo intendere uno spazio capace di generare un luogo di relazione, se salta questa condizione non creiamo architettura. Il Museo Condiviso è il programma di un’architettura, di uno spazio architettonico per la comunità, con la comunità e della comunità; un’architettura condivisa cresce e si sviluppa con la sua comunità. Un museo che non guarda al passato, ma al presente e al futuro, per crescere insieme.
L’intento dell’Architettura Gassosa è proprio questo: attivare le persone e varie discipline a lavorare attorno al tema dell’architettura. Per questo motivo possiamo leggere l’Architettura Gassosa come un progetto politico interdisciplinare, un’opera aperta, per la città e per l’architettura, che non mantiene uno statuto normativo, ma riveste il ruolo di una consapevolezza critica condivisa. D’altronde la società contemporanea ormai non si rispecchia più né nella la città e nelle architetture delle promesse dei “grandi racconti” del passato radicata in un territorio preciso, né nella città delle scatole dorate della postmodernità, con i suoi oggetti dalle mute forme splendenti, immerse nell’abisso della loro “rappresentazione” dove tutto è “interpretazione”. L’idea di una città e di un’architettura nella loro concezione spaziale di luogo geografico da pianificare e programmare stanno perdendo sempre più valore politico e strategico, risultando inadeguate alle strutture con cui la società contemporanea si sta oggi evolvendo. Dobbiamo quindi abbandonare i modelli operativi della modernità per rinnovarli con dei nuovi modelli programmatici con cui costruire il nostro presente e futuro. L’Architettura Gassosa si pone proprio questo obbiettivo ed il Museo Condiviso è una di queste proposte: non un progetto, ma il programma per un’architettura.
In quanto spazio delle Muse, sarebbe infine l’ora che queste ci accompagnino nei luoghi dove sono le persone che ne cercano l’ispirazione. Adesso , o allora quando?
@lcn-danieli il museo negli ultimi decenni non è più spazio delle muse, luogo di contemplazione, ma spazio di consumo. La città stessa si è pian piano sempre più trasformata da luogo in cui vivere a spazio dove “consumare la vita”: una supermarket city. L’Architettura Gassosa e il Museo Condiviso, vogliono andare in direzione opposta. Vogliono che la città e l’architettura siano spazi e luoghi non di consumo ma di esperienza. Il Museo Condiviso vuole far riaffiorare le muse o vuol dar vita a nuove muse? Non so in che direzione potrebbe andare, non dipende da me. Queste sono scelte che opereranno i suoi utenti, il curatore e il direttore del museo che insieme agli antropologi, i sociologi e i semiotici si occuperanno della gestione del museo. Infondo il museo è semplicemente un laboratorio aperto, non impone un contenitore, né un contenuto, il suo programma è libero, da solo dei suggerimenti-regole di come poter operare.
@emmanuele-lo-giudicesinceramente la vedo in maniera diversa, nel museale c’è una funzione importantissima, quella conservativa; e poi amo il tema della collezione anche neìi’nterpretazione che ne ha dato De Finis …