Rilancio questo intervento di Giovanni Boccia Artieri pubblicato questa mattina su agendadigitale.eu a proposito del dilemma infodemico del momento: il vaccino AstraZeneca. Era evidente già dall’inizio della pandemia che tra bizantinismi politici e superfetazione giornalistica, nonché il rumore dei social, del sistema mediale si sarebbe arrivati a situazioni paradossali e pericolose per cui l’”infodemia” sta diventando più insidiosa del virus stesso. L’informazione in casi come questo funziona come uno specchio rotto, rispecchia non solo in modo frammentato la realtà, la guasta, gonfiando la bolla dell’inquietudine, come suggerisce Giovanni.
Con la sospensione politica di AstraZeneca abbiamo visto il primo grande frutto di un problema di cui gli esperti discutono da un anno. Ossia che una delle principali ricadute della pandemia sull’opinione pubblica è l’infodemia, come è stata definita dall’Organizzazione mondiale della Sanità.
Si tratta di una produzione e circolazione eccessiva di informazioni, talvolta non accurate, fra le quali è molto difficile orientarsi. La conseguenza più evidente di questo disorientamento si manifesta in un bisogno crescente di consumo di informazioni dovuto all’interesse generalizzato per il tema e allo stato di incertezza che come cittadini proviamo di fronte a un evento catastrofico come questo. Il dibattito pubblico viene così stimolato da un’altalena emotiva generata dal cortocircuito tra media e web che, di momento in momento, alimenta bisogno di conoscenza, ansie e preoccupazioni unitamente a speranze, attorno a notizie rilevanti, dati scientifici, commenti di esperti, post pro- o anti-vaccino, fake news su cure e rimedi, e così via. I palinsesti italiani sono da mesi trasformati dal racconto del vissuto pandemico che funziona da continuo contrappunto di talk show, programmi pomeridiani di intrattenimento, spazi di approfondimento, per non parlare dei notiziari. E così pure nelle diverse testate, talvolta arricchite da newsletter tematiche sul Coronavirus. In tal senso i media rappresentano non solo il termometro del dibattito pubblico su questo tema ma un fattore capace di intervenire sulla stessa temperatura che vuole misurare. Il racconto mediale che ha preceduto e accompagnato la temporanea sospensione della somministrazione del vaccino di AstraZeneca ne è, in qualche modo la misura. Perché quello a cui stiamo assistendo ha a che fare con il panico morale che si è alimentato attraverso il sistema dei media e che ha generato una pressione politica che ha visto cadere via via come tessere vari Stati.
Se pensiamo al caso italiano possiamo notare come diversi articoli abbiano da subito titolato indicando una correlazione fra morti e somministrazione di vaccino in assenza di evidenze scientifiche e, anzi, con posizioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (prima della retromarcia nel giro di 24 ore con il “ritiro precauzionale”) e dell’Ema, Agenzia europea del farmaco, scientificamente più che prudenti. Emer Cooke, direttore esecutivo dell’Ema, nella più recente conferenza stampa ha dichiarato: “Ad ora noi siamo fermamente convinti che i benefici di AstraZeneca superino gli effetti collaterali e attualmente non ci sono indicazioni di correlazione tra vaccino e incidenti”.
Ma nel discorso mediale il piano scientifico compete – anzi, non compete per nulla – con il resoconto emotivo, quello dei fatti che vengono raccontati lasciando trarre conclusioni al pubblico, portando diverse istanze sullo stesso piano, spesso seguendo le tracce di un modello di giornalismo che è mutato nel tempo a causa di diversi fattori.
Il pregiudizio informativo
Un primo fattore è costituito dal “pregiudizio informativo” che riguarda il modo in cui i media di qualità trattano già da tempo le questioni scientifiche e che è dovuto a una trasformazione della cultura giornalistica verso un modello orientato alle opinioni più che all’informazione e alla produzione di un effetto paradossale dovuto alla norma del giornalismo imparziale.
Il pregiudizio informativo viene spiegato in uno studio del 2004 da Maxwell e Jules Boykoff a proposito dell’informazione che riguarda i cambiamenti climatici, che evidenzia come testate di qualità quali il New York Times o il Wall Street Journal abbiano portato i loro lettori a una distorsione circa la verità scientifica.
La necessità di produrre un giornalismo equilibrato induce infatti i media a riportare, accanto alle dichiarazioni di scienziati, i punti di vista di soggetti interessati, portatori di verità alternative da mettere a confronto con quella ufficiale. In tal senso, spiegano i ricercatori, una minoranza scettica verso il riscaldamento globale ha visto amplificate le sue opinioni.
Quello che si genera più in generale nell’atteggiamento dei media contemporanei è il rischio di una tendenza a raccontare entrambe le versioni di una storia anche quando questa riguarda verità fattuali, trasformando ciò che è una realtà in una controversia. In questo senso, dubbio e incertezza non solo vengono ricercati e spettacolarizzati, soprattutto nei programmi di infotainment, ma possono essere alimentati da una ricerca autonoma di informazioni che sono sempre più accessibili e disponibili – al di là della loro qualità – e che di fatto consentono alle persone di restare nella propria bolla di inquietudine.
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Come questa narrazione agisca sul clima di opinione ce lo dice il più recente sondaggio IPSOS (16 marzo 2021), che indica come il 44% degli italiani farebbe il vaccino ma non AstraZeneca, il 29% farebbe il primo disponibile, anche AstraZeneca e il 13% non farebbe nessun vaccino con un +3% dalla settimana precedente, dato che indica una crescita di sfiducia sotto la pressione del racconto degli eventi.
è vero, questa “bolla dell’inquietudine” è certamente uno dei problemi cruciali di questa pandemia. Ed è ancora più importante evidenziare i guai che combinano i pregiudizi informativi che vengono alimentati da fake news e stategie di infotainment che giocano in modo perverso con le paure della gente. Questi pregiudizi informativi coincidono con ciò che vengono definiti i bias cognitivi di cui tanto si sta parlando?
si sono quelli, i bias cognitivi, ovvero quelle distorsioni nella valutazione delle situazioni, viziate dalla conflittualità psicologica.
E’ quello che Giovanni definisce bene i “pregiudizi informativi”…ne ho trattato in una mia lezione del corso su Tecnologie digitali e processi cognitivi:
Il bias cognitivo è un modello di deviazione nella elaborazione del giudizio, indica una tendenza a confondere l’evidenza dei fatti argomentati, producendo errori di valutazione e mancanza di oggettività di giudizio.
L’origine del termine bias è dall’inglese, per cui s’intende inclinazione ma c’è anche un’interpretazione che discende dal provenzale francese, per cui significa obliquo.
Questa obliquità del bias può essere interpretata come una forma di distorsione della valutazione determinata dal pregiudizio, condizionato quindi da concetti preesistenti, magari ideologici, e non necessariamente connessi ad una pertinenza logica.