Progettare il futuro senza ‘presentificarlo’

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Sono cresciuto sotto il segno del futuro possibile, da più di mezzo secolo fa come giovane rivoluzionario che credeva nel sol dell’avvenire, passando per l’infatuazione per il Futurismo (quando era ancora ostracizzato perché associato al fascismo), attratto poi dall’aura distopica del no future del punk, impegnato poi come critico militante della Postavanguardia teatrale, promotore (nel 1996) di uno dei primi convegni sul Futuro Digitale. In questi ultimi decenni ho comunque continuato a mettermi in gioco, interpretando l’innovazione come una continua scommessa evolutiva. RiavviaItalia nasce proprio con questo intento, raccogliere idee e rilanciarle, cercando i modi migliori per mettersi in gioco, per progettare il futuro. Idee come queste pubblicate su CheFare in questo ottimo intervento di Andrea Baldazzini e Paolo Venturi che ci sembra un ottima opportunità per attivare quel confronto connettivo che auspichiamo.

 

Per decenni si è guardato al futuro delle collettività muovendo dalla convinzione che la storia potesse conoscere un’unica direzione: quella del progresso e dell’evoluzione verso un benessere maggiore. Eppure, le recenti crisi (economica, ecologica e sanitaria) hanno messo profondamente in discussione una tale certezza, portando alla luce un presente che, come ricorda Mark Fisher, risulta popolato da numerosi fantasmi, ovvero da entità ideali, valoriali e soggettive che “non sono più” ma allo stesso tempo “non sono ancora”.

Un presente segnato inoltre da una grande schizofrenia: da un lato richieste per un adattamento sempre più rapido, dall’altro cambiamenti che sembrano impossibili da raggiungere nel breve periodo. Quest’ultimo decennio ha però permesso di riappropriarsi anche di una consapevolezza che era andata persa, e cioè il sapere che il futuro resta un prodotto “comune” frutto della responsabilizzazione e partecipazione di tutti gli attori sociali, la cui guida e costruzione non può venire delegata a pochi. Dunque, come restituire al presente la forza di catturare il futuro senza ingabbiarlo o limitarne le potenzialità? Come è possibile fare strategie e sviluppo senza cadere in una programmazione fallace? Come coltivare un adattamento che sappia essere trasformativo e non semplice risposta emergenziale?

Come restituire al presente la forza di catturare il futuro senza ingabbiarlo o limitarne le potenzialità? Come è possibile fare strategie e sviluppo senza cadere in una programmazione fallace? Come coltivare un adattamento che sappia essere trasformativo e non semplice risposta emergenziale?

Diventa ormai chiaro che la difficoltà più grande, tanto per le organizzazioni, quanto per i paesi, sia quella di definire il “come” decidere rispetto al futuro.  Le decisioni diventano infatti più frequenti ed esasperano i criteri alla base dei quali poi noi siamo chiamati a “tagliare” (dal latino de- cìdere, tagliare via).  La domanda si fa cruciale oggi non solo per l’incertezza e l’accelerazione dentro cui siamo immersi, ma anche perchè, a partire dal nostro paese (basti pensare al PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) siamo tutti chiamati ad immaginare e progettare il “dopo”.

Per certi versi siamo in una fase istituente, una fase che non può risolversi appena in un rafforzamento e in una maggior strutturazione delle forme di progettazione. Il paradosso, infatti, risulta evidente: come si può pianificare o progettare un futuro così incerto e imprevedibile?

Il rischio di presentificare il futuro

La tendenza predominante sembra essere quella di cercare l’adattamento a un futuro permanentemente aperto attraverso misure di chiusura selettiva (scenari?), ma in questo modo non si fa altro che dare vita a strutture più rigide e totalmente schiacciate sul presente. Il vero rischio è che il presente ingabbi il futuro, non lo faccia fiorire nel timore dell’imprevisto. L’obiettivo deve invece diventare quello di creare organizzazioni capaci di adattarsi, in maniera trasformativa, a qualcosa che non è ancora stato predetto e immaginato, ovvero convertendo la paradossalità di tale richiesta in un motore di innovazione. La vera difficoltà è infatti quella di formulare strategie che non limitino le organizzazioni in scenari futuri predeterminati, poichè rischierebbero di ridurne la flessibilità e, di conseguenza, la capacità di adattamento rapido a scenari imprevisti.

Non stupisce infatti come ad accumunare le risposte che da un lato presentano tratti di “restaurazione”, secondo cui l’unica via è tornare a rinsaldare i rapporti con un sistema centralizzato e autoritario di decisioni per far fronte alla complessità e imprevedibilità del futuro, dall’altro mostrano un carattere puramente adattivo rispetto alla gestione delle criticità improvvise, è proprio il comune appiattimento sul presente, o per meglio dire la “presentificazione del futuro”. Quest’ultimo si trova così privato della qualifica di proiezione per divenire un mero ripiegamento sullo status quo, perdendo qualunque potenziale trasformativo.

Trappola questa in cui scivolano tutte le organizzazioni che costruiscono forme di programmazione basate sul passato. È però possibile individuare una terza modalità di messa a valore del futuro, ovvero quella che potremmo definire del “possibile adiacente”, dove il fare innovazione diventa sinonimo di «esplorazione dello spazio reale e allargamento dello spazio del possibile».

Prendere decisioni senza ingabbiare il futuro, significa dunque mettere a valore il desiderio, la contingenza, ciò che è possibile, e trasporlo sul piano concreto del management e delle culture organizzative; significa ricombinare il rapporto che lega risorse e soluzioni adottando un approccio decisionale che si basa su due caratteri: quello esplorativo (si va in cerca di risorse all’interno di nuovi contesti e attivando conversazioni con nuovi soggetti) e quello sperimentale (si costruiscono progettualità in grado di modificarsi “in the making”, ovvero in corso d’opera, che sappiano continuamente riflettere su se stesse e abbandonare la linearità del percorso).

Adottare una modalità di approccio al futuro basata sul principio del “possibile adiacente”, porta così le organizzazioni ad ancorare prospettive, sfide e inneschi trasformativi dentro il presente, che viene mantenuto aperto e capace di esplorare, sperimentando, ciò che è possibile. Un modo, questo, per apprendere a navigare a vista in un futuro altamente paradossale e del tutto imprevedibile, senza però rinunciare al protagonismo e ad un agire progettuale.

continua

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