Il progetto Hamelin ha preso forma dal confronto tra alcune famiglie sul finire del mese di marzo tra Lodi e Piacenza e nasce all’interno del collettivo BUNchER, istituito il 22 febbraio alla libreria indipendente Mittel di Lodi a cura del libraio Francesco Gesti.
Il regime di rigida quarantena ristretta al nucleo familiare domiciliato nella stessa abitazione, adottata come unica strategia per limitare il proliferare dei contagi all’esplosione di Covid-19, è stata una misura di violenza estrema che se, da una parte, ha permesso la limitazione dei contagi, dall’altra ha creato una frattura brusca e dolorosa con la consuetudine di una vita incentrata per noi da sempre su due pilastri: le relazioni e l’educazione, che si scontrano coi precetti di social distancing e di DAD che ci vengono imposti come unica forma possibile di sopravvivenza.
Lo studio che abbiamo condotto presenta da una parte la forte incertezza dei tempi e dei modi in cui rientrerà l’emergenza sanitaria, dall’altra l’emergere potente di una serie di problematicità legate al benessere psico-fisico dei bambini e delle famiglie che si trovano a gestirli in autonomia, secondo dinamiche da reinventare e riscrivere senza troppi strumenti di sostegno.
Si è resto per noi necessario uno scarto immaginativo per poter pensare ad una quarantena che ponga le sue basi sull’opposto del suo essere: la relazione sociale.
L’idea ci è venuta il 25 marzo, ripensando ad un’accesa discussione su Bauman, da anni in corso di svolgimento. “Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, lottare e risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio, forzare se stessi ed arrivare alla felicità di essere in lotta col fato. E questo è possibile sostituendo l’indipendenza con una dolcissima interdipendenza”.
Alla luce dei tempi prolungati e dei danni comprovati che questo regime di ristrettezza implica, abbiamo pensato di riconsiderare i termini della quarantena per ricollocarla in un nucleo che non sia quello strettamente familiare e un setting che non sia quello domestico.
Vorremmo proporre un modello di quarantena allargata ad un nucleo sociale formato da un numero ristretto di famiglie i cui componenti siano testati tutti negativi, trasferite in un setting che permetta la vita comunitaria indoor e outdoor, idealmente un albergo che si renda disponibile a fare da sponsor tecnico, con un accesso privato al mare.
L’organizzazione delle giornate sarebbe scandita dall’alternanza di attività didattiche e ludiche calibrate per età, momenti comunitari e sociali strutturati, salvaguardando le esigenze lavorative degli adulti che ne hanno la necessità nell’assoluto rispetto delle norme ministeriali per lo scongiuro del contagio.
Scopo primario del progetto non è solo di garantire un migliore standard qualitativo di vita per le famiglie coinvolte, ma anche farsi carico di nuclei familiari e bambini in situazioni di difficoltà che potrebbero trovare benessere nella cura comunitaria. Si sta collaborando con alcune realtà locali per individuare un contesto già avviato di sostegno e cura alle fragilità sociali con cui si potrebbe collaborare.
Le famiglie coinvolte parteciperebbero alle spese di mantenimento secondo le proprie possibilità, mettendo in comune i propri avere così come le proprie conoscenze e professionalità secondo il principio distributista. Tra le famiglie promotrici del progetto sono presenti insegnanti e child minders, in particolare una coppia di genitori entrambi insegnanti impegnati da anni in un percorso di scuola parentale e homeschooling (Piacenza) e una famiglia che vive una realtà di socialhousing (Lodi).
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