Disintermediare gli investimenti in fondi pensionistici e in compagnie di assicurazione, affinché vadano direttamente nella realizzazione e nella gestione delle attività fondamentali, è una strada maestra.
L’economia fondamentale offre opportunità di investimento stabili, a lungo termine e a basso rendimento, che possono essere finanziate con cedole al 5%. Non c’è niente di nuovo o di rivoluzionario in questo, perché il capitale che ha finanziato le ferrovie del XIX secolo è stato remunerato al 5%, o meno. Il capitalismo finanziario contemporaneo porta le grandi imprese e gli investitori in fondi, così come il private equity, a nutrire aspettative a due cifre, il 10% di rendimento sul capitale investito. È bizzarro che questo possa avvenire mentre i tassi di base delle banche centrali sono bloccati intorno allo zero. I modelli di business a due cifre sono intrinsecamente inadatti alle attività fondamentali, che sono attività ad alta intensità di capitale. Nei settori fondamentali si possono ottenere alti rendimenti operativi soltanto a danno degli stakeholder, inclusa quella enorme platea di lavoratori – dotati di uno straordinario repertorio di competenze – di cui soltanto in questi giorni tragici stiamo riscoprendo il valore. Pratiche gestionali estrattive e finance-oriented hanno eroso per anni i loro salari e le loro condizioni di lavoro. È normale che il capitale debba essere remunerato, ma separare la proprietà e la gestione ed emettere obbligazioni di investimento diretto al 5% per costruire nuove case di cura o reti energetiche locali può consentire di trovare un equilibrio tra la regolamentazione dell’attività economica e l’incentivazione dell’offerta di capitale da risparmi privati o statali. (Foundational Economy Collective).
(segnalazione di Vincenzo Fischetti)
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